Un’inutile e pretestuosa precisazione proveniente dal Ministero della
Pubblica Amministrazione alimenta ulteriormente e in modo sempre più distorto e
parziale il dibattito sul riordino delle Province.
Si legge nella “precisazione” del 3 agosto 2012, apparsa nel sito del
Ministero dal titolo “riordino delle Province e loro funzioni”:
“Il Dipartimento delle Riforme Istituzionali in riferimento alle
disposizioni in materia di riordino delle Province e loro funzioni precisa
quanto segue: con riferimento alle Province che non possiedono i requisiti
minimi specificamente indicati nella deliberazione del Consiglio dei Ministri
dello scorso 20 luglio – dimensione territoriale non inferiore ai 2500
chilometri quadrati e popolazione residente non inferiore a 350 mila abitanti –
i CAL e le Regioni possono senz’altro dare seguito ad eventuali iniziative
comunali già formalizzate alla data del 24 luglio 2012 volte a modificare le
circoscrizioni provinciali.
Tuttavia resta fermo che tali iniziative non hanno l’effetto di far ottenere
né perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale
e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione”.
Nulla dice la nota ministeriale sulle funzioni delle Province, malgrado il
titolo e malgrado è uno degli spetti più controversi e meno approfonditi
dell’intervento del Governo sul “riordino” delle Province.
Che bisogno c’era dunque di tale precisazione?
Un effetto è stato immediatamente realizzato: si è dato modo ai soliti
illustri commentatori sui maggiori organi di stampa per bollare (citiamo alcuni
dei tanti titoli ad effetto):“Altolà del governo alle province: stop a
compravendita di Comuni” E’ inutile la “compravendita” di comuni di confine da
parte delle province per salvarsi dalla cancellazione prevista dalla spending
review”.
Ottimi esempi di approfondita informazione!
Ma torniamo alla nota ministeriale.
Va rilevato che trattasi di una “precisazione” inutile, che nulla aggiunge
alle disposizioni contenute nel decreto legge, semplicemente e testualmente
riportate nella nota di precisazione:
1) “I CAL e le Regioni – precisa la nota ministeriale – possono senz’altro
dare seguito ad eventuali iniziative comunali già formalizzate alla data del 24
luglio 2012 volte a modificare le circoscrizioni provinciali”.
Precisazione inutile perché riporta testualmente quanto previsto dall’art.
17, comma 3, del D. L. 95/2012: “Le ipotesi e le proposte di riordino tengono
conto delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni
provinciali esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al comma
2”.
Anzi incorre anche in un errore di data: non il 24 luglio, ma il 20 luglio
(data di adozione della delibera del Consiglio dei Ministri);
2) “Tuttavia resta fermo che tali iniziative non hanno l’effetto di far
ottenere ne perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione
territoriale e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione”
Anche in questo caso la nota non fa che riportare quanto previsto dallo
stesso comma 3 dell’art. 17: “Resta fermo che il riordino deve essere
effettuato nel rispetto dei requisiti minimi di cui al citato comma 2,
determinati sulla base dei dati di dimensione territoriale e di popolazione,
come esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al medesimo
comma 2”.
E allora perché il bisogno di tale precisazione?
Se precisazione doveva essere, bisognava almeno chiarire e “precisare”
completamente i contenuti della norma.
L’art. 17, comma 3, fa riferimento alle “eventuali iniziative comunali volte
a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti alla data di adozione
della deliberazione del Consiglio dei Ministri” (20 luglio) di cui la
Conferenza Regione-Autonomie Locali e la Regione devono tenere conto nel
formulare le ipotesi e le proposte di riordino delle Province.
Nulla si dice sulle iniziative dei Comuni interessati dall’istituzione della
città metropolitana.
L’art. 17, comma 4, con riferimento all’ “atto legislativo” di iniziativa
governativa di riordino delle Province fa riferimento oltre che alle proposte
regionali anche alla “contestuale definizione dell’ambito delle città
metropolitane di cui all’art. 18, conseguente alle eventuali iniziative dei
Comuni ai sensi dell’art. 133, primo comma della Costituzione nonché del comma
2 del medesimo articolo 18”.
L’art. 18, comma 2, prevede “Il territorio della città metropolitana
coincide con quello della provincia soppressa “fermo restando il potere dei
Comuni interessati di deliberare, con atto del consiglio, l’adesione alla città
metropolitana o, in alternativa, ad una provincia limitrofa”. Non viene indicato
alcun termine per la delibera di consiglio comunale.
Pertanto sembra necessario che, per il combinato disposto dell’art. 17,
comma 3, con l’art. 18, comma 2, si debba tenere conto anche delle decisioni di
questi Comuni.
Andava quindi chiarito – parte questa del tutto omessa nella precisazione
ministeriale – con riferimento ai territori interessati dall’istituzione della
città metropolitana:
1) Se tutti i Comuni devono deliberare, con atto del consiglio, l’adesione
alla città metropolitana o, in alternativa, ad una provincia limitrofa oppure
se tale “potere” del Comune va inteso come mera facoltà e si procede a
prescindere dalla formale deliberazione del consiglio comunale (intendendosi ad
esempio il silenzio come adesione implicita alla città metropolitana);
2) Entro quale termine tali Comuni dovrebbero deliberare, anche se è
plausibile ritenere che le deliberazioni dovrebbero pervenire al CAL prima
della scadenza del termine di 70 gg (cioè prima del 3 ottobre).
3) Se l’iniziativa dei Comuni vincola l’ipotesi di riordino del CAL la
proposta di riordino della Regione e l’iniziativa legislativa del Governo
oppure se ne può prescindere;
4) Cosa si intende per “provincia limitrofa”: l’adesione ad una provincia
limitrofa può essere deliberata solo da un Comune oggi confinante con altra
Provincia oppure, in senso più ampio, anche da altro Comune confinante con
quello che ha già deliberato l’opzione di adesione alla provincia limitrofa pur
non confinando direttamente oggi con essa.
Mentre andrebbe rilevato, oltre ogni inutile formalismo, che, con
riferimento agli altri Comuni non interessati dall’istituzione delle città
metropolitane evidentemente nulla vieta ai CAL e alle Regioni, pur non avendone
l’obbligo, di tenere conto anche di eventuali deliberazioni dei Comuni (singoli
o associati) delle altre Province soggette a riordino di aderire a Province
limitrofe;
Andrebbe dunque ricordato all’estensore della precisazione che negli
articoli 17 e 18 del D. L. 95/2012:
1) Non si parla più di soppressione e accorpamento delle Province che non
hanno i requisiti ma di riordino di tutte le Province
2) Il riordino dovrebbe avvenire secondo la seguente tempistica:
- Entro il 2 ottobre 2012: il CAL deve approvare una ipotesi di riordino di
tutte le Province.
La proposta deve tenere conto:
a) Delle iniziative comunali di passaggio ad altre Province della stessa
Regione già adottate prima del 20 luglio 2012;
b) Dei requisiti minimi per ciascuna Provincia di 350.000 abitanti e di
2.500 Kmq;
c) Delle iniziative comunali assunte dai Comuni facenti parte della città
metropolitana, assunte anche dopo il 24 luglio, con cui manifestano la volontà
di non far parte della città metropolitana e di essere inseriti in una
provincia limitrofa
- Entro il 3 ottobre 2012: Il CAL trasmette la proposta alla Regione.
- Entro il 25 ottobre 2012: La Regione trasmette al Governo la proposta di
riordino di tutte le Province del proprio territorio, sulla base della proposta
del CAL (o indipendentemente dalla proposta della Conferenza qualora non
formulata ma tenendo comunque conto di quanto prima indicato alle lettere a),
b) e c)).
- Entro il 31 ottobre 2012 (data presunta – 60 giorni dalla conversione in
legge del decreto): il Governo dispone una proposta di legge per il riordino
delle Province e l’eventuale ridefinizione dei confini della città
metropolitana sulla base della proposta regionale.
Se dunque la legge prevede che si deve procedere al riordino di tutte le
Province e che tutte le “nuove” Province devono rispettare i requisiti minimi
di territorio e popolazione fissati dal Consiglio dei Ministri che bisogno c’è
di ribadire che le iniziative dei Comuni “non hanno l’effetto di far ottenere
ne perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale
e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione”?
E soprattutto perché non ricordare che ai Comuni facenti parte delle città
metropolitane è riconosciuto il potere di deliberare con atto del Consiglio
Comunale l’adesione alla città metropolitana o, in alternativa, ad una provincia
limitrofa?
Purtroppo ancora una volta dobbiamo registrare il disconoscimento ormai
ripetuto di ogni principio costituzionale relativo all’intero sistema delle
autonomie.
L’iniziativa comunale non solo è espressione della volontà democratica,
espressa dall’organo rappresentativo della collettività comunale
democraticamente eletta (non una precisazione ministeriale non sottoscritta e
non attribuibile ad alcuno) ma è l’unico atto costituzionalmente previsto per
avviare l’iter di mutamento delle circoscrizioni provinciali dall’art. 133
della Costituzione!
Ci sia consentito ricordare (lo abbiamo fatto più volte ma continuiamo
ostinatamente a credere nei principi e nei valori della nostra Costituzione e
nel sistema delle regole costituzionali che rappresentano il patto sociale tra
quei soggetti politici che pur raggruppando cittadini con storie, idee, culture
differenti, furono uniti nell’impegno di costruire una storia e uno Stato
nuovo; che sono espressione dei valori e dei principi sui quali si fonda
l’essere cittadini italiani; che sono la principale fonte del nostro
ordinamento giuridico; e che sono soprattutto “diritto vivo” (diritto
materiale), diritto applicato, riconosciuto come fondamentale, imprescindibile,
irrinunciabile e vincolante da tutti i cittadini che fanno parte del nostro
Stato e che si impegnano a rispettarle e promuoverle) alcuni principi
fondamentali della nostra Costituzione:
Art. 5 – “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le
autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio
decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Art. 114 – “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle
Città metropolitane, dalle Regioni (e dallo Stato. I Comuni, le Province, le
Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri
e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione”.
Art. 118 – “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che,
per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città
metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane
sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con
legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
Art. 133 – “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione
di nuove Province nell’ambito d’una Regione sono stabiliti con leggi della
Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione”.
Quanta abissale distanza vi è oggi tra il sistema costituzionale e la realtà
del nostro ordinamento giuridico deformato a colpi di decreti legge dettati
dall’emergenza economica e delle “richieste e aspettative” dei mercati!
Quanta colpevole superficialità – o forse consapevole disegno riformatore
verso un centralismo esasperato – negli interventi sulle autonomie locali
privati progressivamente di ogni autonomia e delle risorse necessarie ad
erogare servizi!
Quanta colpevole demagogia nel demolire il sistema della rappresentanza
democratica locale, abbagliati dalla “lotta alla casta”!
Al contrario bisognava ripartire dal basso.
Continuiamo a chiedere la tutela delle autonomie locali, perché oggi più che
mai occorre che i cittadini abbiano la sensazione di una politica vicina ai
bisogni ed alle aspettative, che sappia dare risposte immediate e che sia
soggetta al controllo diretto e immediato del cittadino elettore.
Per questo continuiamo a ritenere del tutto insensato tagliare le
rappresentanze politiche locali e mantenere inalterato quel ceto politico
nazionale che appare troppo preoccupato della propria sopravvivenza politica a
breve termine per rendersi conto di quanto sta realmente accadendo; che non si
possa ridisegnare l’assetto istituzionale del sistema democratico con decreti
legge, al di fuori di una visione di insieme che eviti il crearsi di squilibri
e asimmetrie nel rapporto fra i cittadini e lo Stato né che sia possibile
decidere sulla persistenza o la cancellazione di gangli vitali
dell’articolazione statale sulla base di meri criteri di convenienza politica,
ideologica o meramente economica (tutta da dimostrare quest’ultima) anziché in
riferimento ad una verifica dell’effettiva necessità del loro mantenimento o
eliminazione in rapporto alle esigenze per le quali essi sono stati creati.
Malgrado il livello di governo provinciale risulti connaturato con
l’identità socio culturale, con la storia stessa dell’Italia e soprattutto
l’unico in grado di assicurare ai Comuni, anche quelli più piccoli, di svolgere
la loro attività ed erogare i servizi nel modo migliore, nel dibattito e
nell’adozione delle norme sul riordino delle Province, rimane a tutt’oggi del
tutto assente ogni analisi sulle funzioni e sui servizi, sulle risorse ad essi
destinati.
Per questo ci saremmo aspettati almeno altrettanta attenzione e scrupolo ed
altrettante precisazioni, quale quella sui confini provinciali, riferiti invece
al rispetto della Costituzione, degli organi democraticamente eletti, delle
funzioni e dei servizi essenziali erogati dai vari livelli di governo nonché
altrettanto minuzioso impegno ed ostinazione nel perseguire una vera riforma
organica del sistema.
articolo tratto da
www.quotidianolegale.it
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