DOPO L’APPROVAZIONE DEL “TARIFFARIO PRATICHE AMMINISTRATIVE”, I
COMMERCIANTI INSORGONO.
Sarebbe troppo facile per noi
fare riferimento a nostri precedenti interventi stampa e alle nostre reiterate
richieste ai comuni di non aumentare la tassazione locale, già pesantissima a
carico delle piccole imprese che da anni stanno continuando la loro fase di
declino e di chiusura definitiva che in questo anno potrebbe raggiungere
l’apice, anche se i “sondaggisti” continuano a tenere ben celata la notizia
dell’anno che emergerà con numeri impressionanti, così come sarebbe facilissimo
fare persino ironia sulla strana coincidenza che porterebbe le Amministrazioni locali
ad essere protagoniste, in negativo, della distruzione dell’economia dei propri
territori avendo ottenuto “deleghe” in bianco dal governo centrale affinché
possano determinare, in autonomia, aumenti tariffari e impositivi.
Tutto drammaticamente facile e
realistico e i risultati non si fanno attendere con un’altra stravagante e
bizzarra caratteristica cioè quella che a parità di servizi offerti ciascun
comune, anche quelli che distano tra di loro pochissimi chilometri, decidono di
applicare in maniera differente l’ammontare delle somme da riscuotere, per
esempio, a titolo di diritti o addirittura decidono di non farli pagare
proprio.
Tutto questo premesso andiamo sul
pratico ed ecco che immediatamente ci troviamo di fronte ad un provvedimento
tanto inaspettato quanto vessatorio nei confronti del piccolo commercio morente
cioè l’applicazione, da qualche mese ad Andria, del “tariffario pratiche
amministrative” per quanti presentino istanze e comunicazioni al Settore
Sviluppo Economico della città federiciana.
Si va dal pagamento di diritti di
50 euro per pratiche relative ad apertura o chiusura di attività come
acconciatori, estetisti, panifici, agenzie d’affari, autorimesse, noleggio,
attività di somministrazione di alimenti e bevande, agriturismo, commercio al dettaglio
in sede fissa, commercio elettronico, commercio su aree pubbliche con posteggio
o itinerante e spettacoli viaggianti, ai 100 euro per attività musicali,
spettacoli, concerti, manifestazioni fieristiche, attività alberghiera e sale
gioco, ai 180 euro per l’intervento della commissione comunale di vigilanza sui
locali di pubblico spettacolo, ai 200 euro per attività di commercio al
dettaglio in medie e grandi strutture di vendita, ai 250 euro per la
convocazione conferenza di servizi su richiesta di parte. E ancora 15 euro per la
richiesta di occupazione di suolo pubblico a scopi espositivi o per le
associazioni e 55 euro per la richiesta di concessione di suolo pubblico con
dehors. Il tutto aggravato dalle tasse per le occupazioni, dalle marche da bollo
i cui valori ormai hanno raggiunto cifre astronomiche e tutti gli altri
balzelli che sono aggiuntivi e non sostitutivi dei questi diritti di segreteria
e di istruttoria.
Ancora 50 euro per le ordinanze
ingiunzioni e un’altra miriade di diritti non solo applicabili al Settore
Sviluppo Economico e comunque tutti elencati nella Deliberazione della Giunta
Comunale nr. 270/2013.
Ci asteniamo, in questa
occasione, dal fare un seppur minimo paragone con quanta differenza ci sia tra
esercitare un’attività di impresa nelle nostre città piuttosto che nella nostra
bella Italia rispetto alle esemplificazioni e alle condizioni assolutamente
imparagonabili che si registrano in altre Nazioni anche a noi vicine, come ad
esempio la Spagna.
Queste ulteriori forme di disincentivo
ad avviare o mantenere attività d’impresa in Italia sono il chiaro ed evidente
segnale che la politica è quella di portare ad una definitiva e penalizzante delocalizzazione
e alla conduzione a morte certa di quello che era il più grande patrimonio
italiano che tutti ci hanno sempre invidiato: la piccola e media impresa, ormai
senza futuro.
Area
Comunicazione
UNIMPRESA BAT
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