Non
sono i terremoti che uccidono, ma le case costruite male. E lo
confermano i crolli avvenuti negli ultimi anni in Italia anche in
assenza di terremoto: l’11 novembre 1999 in viale Giotto a Foggia,
e il 3 Ottobre 2011 in via Roma a Barletta, solo per citare qualche
esempio recente in Puglia. Ma andando indietro negli anni ed oltre la
nostra regione, l’elenco sarebbe molto più lungo.
Lo
stato attuale delle conoscenze scientifiche e tecnologiche
dell’Ingegneria Strutturale ha raggiunto da oltre un trentennio,
risultati sufficienti per progettare e costruire case molto sicure,
con o senza terremoto. In parole molto semplici, secondo i dettami
delle normative antisismiche moderne, un edificio deve essere
progettato affinché sia sicuro senza subire danni in condizioni
ordinarie (terremoto di servizio) ovvero possa subire danni anche
irreversibili in condizioni straordinarie (terremoti distruttivi o
cedimenti inattesi), mantenendo in tal caso una robustezza
sufficiente a non implodere, salvaguardando la vita umana (tale
approccio è definito “capacity design”).
Allora
perché in Italia, negli anni 2000 si muore ancora per un crollo
strutturale dell’edificio in cui si abita o lavora? La ragione è
duplice e va ricercata nell’insufficienza legislativa con cui è
stata (ed ancora è) gestita la sicurezza statica degli edifici.
In
primo luogo, l’obbligo di progettare con criteri moderni è
arrivato tardi. In Italia, circa il 65% degli edifici è stato
costruito prima del 1974, anno della prima normativa antisismica
italiana (legge n.64 del 2 febbraio). Ma la prima legge italiana
dotata di moderne regole di progettazione antisismica (“capacity
design”) risale al 2003 e, dopo diverse revisioni, è diventata
obbligatoria col D.M. 14/1/2008. Negli anni precedenti, soprattutto
durante il boom edilizio degli anni ‘60, si è costruito spesso con
criteri progettuali insufficienti e materiali scadenti.
In
secondo luogo, l’obbligo di “adeguare” la sicurezza statica
degli edifici esistenti costruiti con normative precedenti alla
normativa attuale (D.M. 14/1/2008) non è previsto se non nel caso di
evidenti segnali di dissesto (messa in sicurezza e sgombero) oppure
nel caso in cui il proprietario dell’immobile intenda eseguire
interventi di trasformazione sostanziale (sopraelevazioni, ecc.).
Questo rappresenta un problema economico-sociale di non facile
soluzione: non si può obbligare chi possiede una casa costruita 40
anni fa ad investire i propri soldi per progettare un “intervento
di adeguamento” o addirittura di demolizione e ricostruzione né,
d’altra parte, si può accettare che molti Italiani vivano
inconsapevolmente in case a rischio statico e ne paghino le
conseguenze con la vita ogni volta che si verifichi un terremoto
violento.
Allora
cosa fare? Tecnicamente, sono necessarie due fasi successive: la fase
1 di “valutazione della sicurezza” per stabilire in quale misura
l’edificio è carente rispetto alla capacità che dovrebbe
possedere e la fase 2 di “adeguamento” per progettare un
intervento strutturale in grado di colmare tale deficit di capacità.
In casi estremi, può essere più conveniente demolire e ricostruire.
Per
gli edifici pubblici, pianifica il governo quando e dove usare soldi
pubblici per affidare, a mezzo di gare d’appalto, la progettazione
e costruzione di interventi di adeguamento.
Per
gli edifici privati, esclusi i casi obbligatori di cui sopra
(dissesti o trasformazioni), il proprietario può decidere di
incaricare un ingegnere
strutturista
ed un’impresa edile. A tal proposito, è utile segnalare al lettore
qualche utile informazione: le “detrazioni fiscali”, la “safety
cell” e la “certificazione sismica”.
Chi
decide di investire denaro per mettere al sicuro la propria
abitazione con un intervento di adeguamento, può accedere alle
“detrazioni fiscali” eventualmente in vigore nell’anno in
corso. Ad esempio, nel 2016 è possibile sfruttare una detrazione
fiscale del 65% su un importo lavori massimo di 96.000€ per unità
immobiliare, a condizione che l’edificio sia adibito ad abitazione
principale o ad attività produttiva e ricada in zona sismica 1 o 2
(www.detrazione65.net, www.contributiterremoto.net).
Chi
ha limitate disponibilità economiche ma non vuole rinunciare alla
sicurezza per la vita propria e della propria famiglia, può far
installare delle “safety cell” nella propria abitazione. Si
tratta di un guscio scatolare di acciaio ad alta resistenza che,
inserito in una stanza, può scomparire alla vista integrandosi con
piastrelle, parquet o simili. In caso di sisma, chi si rifugia nella
stanza dotata della Safety Cell è al riparo da eventuali crolli,
perché questa struttura può resistere senza schiacciarsi ad un
carico di circa 10 tonnellate, in direzione orizzontale o verticale.
Infine,
per quanto riguarda la sola fase 1 (valutazione della sicurezza), da
qualche anno si sta studiando una proposta di legge per renderla
obbligatoria attraverso l’ “attestato di certificazione sismica”
negli stessi casi in cui è già obbligatorio l’Attestato di
Prestazione Energetica (vendita, affitto, ecc.) e anche per accedere
in modo differenziato alle detrazioni fiscali per la fase 2
(adeguamento).
Ing.
Matteo Oliveri, www.StudioIngegneriaStrutturale.com
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