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mercoledì 22 luglio 2015

TRINITAPOLI : Scambio in culla di due bambine, 26 anni fa. Richiesti 9 milioni alla Regione

Dopo il parto a Canosa di Puglia a una coppia fu consegnata una bimba ora felicemente
sposata. L’altra fu affidata a una famiglia indigente e sottoposta a umiliazioni.

La storia fa venire in mente la trama del film il 7 e l’8 di Ficarra&Picone, uno scambio di neonati che da’ vita all’intreccio di destini e speranze. Ma questa volta il caso è reale e anche molto duro da accettare. Così gli attori di questa storia hanno chiesto un risarcimento dei danni di nove milioni di euro alla Regione Puglia per uno scambio in culla avvenuto 26 anni fa nell’ospedale di Canosa di Puglia. A chiederlo è stata Antonella, la bimba scambiata in culla, i suoi genitori biologici, Michele e Caterina, e il fratello di Antonella, Francesco. La notizia è pubblicata dalla Gazzetta del Mezzogiorno che ricostruisce la vicenda e afferma che l’esame del Dna ha già accertato scientificamente la paternità.
La vicenda
Al momento del parto cesareo, il 22 giugno 1989, nella sala operatoria dell’ospedale di Canosa c’erano due donne. A Michele e Caterina, fu consegnata una bimba che la coppia chiamò Lorena, che a 18 anni è andata via da casa e adesso è sposata. Sembrerebbe che Lorena si sia sempre sentita «fuori luogo». «Non voleva andare a scuola - lamentano i genitori - e poi ha sposato un ragazzo che ha sempre tenuto nascosto». Ma sicuramente è andata peggio a Antonella che finì in una famiglia assolutamente indigente che l’ha sottoposta ad umiliazioni e sofferenze. La ragazza era costretta a dormire con il suo fratello minore che «sin da piccolo era affetto da diabete, durante la notte urinava nel letto che condivideva con Antonella e nonostante ciò le lenzuola non venivano cambiate». Il tutto fino al 2008 quando la ragazza è stata adottata da una famiglia di Foggia. I genitori biologici di Antonella - spiega al quotidiano l’avvocato della coppia, Salvatore Pasquadibisceglie - «hanno cercato di instaurare un rapporto soddisfacente con la figlia Antonella senza ottenere il risultato sperato», perché la ragazza considera i genitori adottivi i suoi veri genitori. Il processo si terrà a fine settembre dinanzi al Tribunale di Trani.
I dubbi
Ma come è stato ricostruito il vero rapporto di parentela? I primi dubbi nascono nel 2012 quando una foto trovata su Facebook fa emergere numerose somiglianze incrociate. E poi la stessa data di nascita e lo stesso ospedale completano il quadro delle ipotesi fino ad arrivare all’analisi del Dna. Antonella ha chiesto alla Regione Puglia il risarcimento di 3 milioni, mentre per quanto patito dalla sua vera madre, dal padre e dal fratello l’assegno atteso è di 6 milioni. Sempre che i soldi possano cancellare un’esistenza vissuta al posto di un’altra persona.

Fonte : Corriere

giovedì 30 aprile 2015

TRANI : Morta a 25 anni per trasfusioni di sangue infetto

Aveva solo 25 anni. Si era rivolta con fiducia alla Sanità pubblica per alcune trasfusioni per curare una patologia che l’aveva colpita. Non poteva immaginare che quella terapia si sarebbe trasformata in una condanna a morte.
Un autentico calvario. Per lei e per i suoi cari. Che non si sono arresi. Hanno continuato a combattere per lei, anche quando il destino se l’era portata via.
Una battaglia giudiziaria terminata con uno dei risarcimenti più alti mai pagati dal Ministero della Salute nel nostro territorio. La condanna emessa dal Tribunale di Bari che ha disposto il pagamento di un maxi risarcimento di circa un milione e mezzo di euro in favore di una famiglia tranese è giunta come la prova che quella battaglia fosse giusta. Non tanto per i soldi, anche se sono davvero tanti. Ma perché la morte di una ragazza di soli 25 anni per un errore della struttura sanitaria non poteva restare impunito.
La sentenza riconosce il danno morale e biologico. Il Ministero della Salute è stato ritenuto responsabile della morte di una ragazza che contrasse una epatite C poiché costretta a sottoporsi a trasfusioni di sangue, poi risultato infetto.
I parenti della vittima (padre, madre e due fratelli) hanno sostenuto in causa, a mezzo del loro difensore, l’avvocato Ferdinando Fanelli del Foro di Trani, che il Ministero fosse colpevole dell’accaduto, per non aver adeguatamente vigilato sulla raccolta e sulla distribuzione del sangue e degli emoderivati da destinare alle trasfusioni.
Il Tribunale di Bari, dopo aver attentamente valutato in tutti i suoi complessi aspetti la ricostruzione dei fatti posti a base della richiesta di risarcimento, ha infine interamente accolto tale tesi (poi confermata anche dalla Corte d’Appello di Bari), condannando lo Stato italiano al pagamento dell’ingente somma.
Non è, purtroppo l’unico caso: il fenomeno delle trasfusioni di sangue infetto che, soprattutto fra gli anni ’70 ed ’80, ha causato migliaia di casi di persone in tutta Italia infettate dal virus dell’epatite e che, in molti casi, aspettano ancora che i responsabili di tale scempio rispondano per i danni causati. Ma ora la strada è tracciata.

Fonte: comunicato stampa