Il riordino
delle Province deciso dal governo Monti scontenta, tra i tanti, anche lo
storico Comitato di Lotta “Barletta Provincia” che ha, nel tempo, fortemente voluto la neonata Sesta Provincia Pugliese (nuova per istituzione, ma antica
per rivendicazione) soprattutto per avvicinare sempre più i cittadini del
nostro potenzialmente ricco Territorio, emarginato invece dalle “vecchie”
province di Bari e Foggia, alle proprie istituzioni ed ai suoi servizi.
Il
decreto governativo sulle Province italiane, invece, oltre a disattendere il
principio di sussidiarietà, elemento cardine dell’Unione Europea
“… in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini ..."
(preambolo del Trattato di Maastricht siglato il 7 febbraio 1992) e direttamente
incorporato nella Costituzione
della Repubblica Italiana a partire dal 2001, viola la
Costituzione in tema di modifica/soppressione/accorpamento delle Province (art.133 comma 1).
Articolo 133 della Costituzione Italiana
Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la
istituzione di nuove Provincie nell'ambito d'una Regione sono stabiliti con
leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione.
La
Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel
proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e
denominazioni.
Il Testo fondamentale della Carta
costituzionale, conformemente alla sua ispirazione non solo di riconoscimento
ma soprattutto di promozione delle autonomie locali territoriali (art. 5 della Costituzione),
impone che ogni ipotesi di modifica dei Territori si avvii dalla base, “su
iniziativa dei Comuni”, come recita l’art. 133, comma 1 della Costituzione,
e non dallo Stato.
A quest’ultimo, pertanto, spetta
unicamente un ruolo di garanzia, ossia verificare che l’eventuale
revisione delle circoscrizioni provinciali esistenti o il loro accorpamento
siano o meno conformi all’interesse generale.
Stando, quindi, alla lettera della
norma costituzionale, sarebbe precluso a priori
un qualunque intervento statale volto a predeterminare le condizioni idonee a
garantire la sopravvivenza dell’ente provinciale.
Difatti, l'articolo 133 comma 1 della
Costituzione, stabilisce in maniera perentoria che "la modifica delle
circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province" necessita
previamente di delibere comunali e regionali (di consiglio e non di giunta o di
sedicenti CAL - Consigli delle Autonomie Locali!), per poi operarsi con legge
dello Stato.
L’accorpamento delle Province che si
vorrebbe operare equivarrebbe, quindi, all'abolizione delle stesse!
Trattandosi, quindi, di modifica,
ricadrebbe, invece, nella disciplina dell'art. 133 della Costituzione italiana.
. Il Decreto Legge n. 95/2012,
quello, per intenderci sulla “spending review”, all’art. 17, reca un’articolata
procedura che, sebbene voglia coinvolgere Regioni ed Enti locali
nell’applicazione dei parametri indicati dall’Esecutivo, svia dal procedimento
indicato all’art. 133, comma 1 della
Costituzione.
Infatti, l’iter procedurale previsto
dal provvedimento sulla spending review delinea un percorso il cui contenuto
è già precostituito dal Governo e non è affatto rimesso alla libera ed autonoma
iniziativa dei Comuni come, del resto, contempla l’art. 133,
comma 1, della Costituzione.
Il legislatore costituente non ha quindi
previsto giammai una procedura per la soppressione di una singola provincia ma
ha inteso l’istituzione di una nuova provincia e di modifica territoriale di
una provincia esistente.
Ciò impedisce al legislatore
ordinario di sopprimere una provincia, anche solo con l'escamotage
dell'accorpamento. L’unica strada che il Parlamento (e non il Governo) avrebbe
per sopprimere una o più Province, o al limite tutte e 110, è quella di una riforma
costituzionale!
Una legge costituzionale, comunque,
richiede una “procedura rinforzata” che difficilmente vedrebbe la luce, ed in
ogni caso, in assenza dei 2/3 dei voti in seconda lettura, sarebbe necessario un
referendum confermativo.
Inoltre, si fissano in modo del
tutto arbitrario dal governo Monti due criteri alla cui stregua dovranno
effettuarsi gli accorpamenti provinciali: la dimensione territoriale (2.500 Kmq) e la popolazione residente
(350.000 abitanti).
Tali criteri devono essere coerenti
con l’obiettivo che si intende perseguire, cioè la riduzione della spesa
pubblica. Se questa è la ragione, perché mai la soppressione non è
generalizzata? Perché si dovrebbero salvare solo le Province che soddisfano i criteri
arbitrariamente prefissati?
Il progetto governativo, in
realtà, si rivela anche carente proprio sotto il profilo della coerenza della
differenziazione legislativa e già le Istituzioni interessate (Province e
Regioni) stanno ricorrendo ai Tribunali Amministrativi Regionali, al Consiglio
di Stato e alla Corte Costituzionale.
Prof. Vincenzo PICCIALLI
Segretario
Amministrativo del Comitato di Lotta “Barletta Provincia”
Dirigente
del MIDA-BT
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