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giovedì 26 luglio 2012

BAT : Il riordino delle Province e la nascita delle Città Metropolitane


Il riordino delle Province deciso dal governo Monti scontenta, tra i tanti, anche lo storico Comitato di Lotta “Barletta Provincia” che ha, nel tempo, fortemente voluto la neonata Sesta Provincia  Pugliese (nuova per istituzione, ma antica per rivendicazione) soprattutto per avvicinare sempre più i cittadini del nostro potenzialmente ricco Territorio, emarginato invece dalle “vecchie” province di Bari e Foggia, alle proprie istituzioni ed ai suoi servizi.
            Il decreto governativo sulle Province italiane, invece, oltre a disattendere il principio di sussidiarietà, elemento cardine dell’Unione Europea “… in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini ..." (preambolo del Trattato di Maastricht siglato il 7 febbraio 1992) e direttamente incorporato nella Costituzione della Repubblica Italiana a partire dal 2001, viola la Costituzione in tema di modifica/soppressione/accorpamento delle Province (art.133 comma 1).

            Articolo 133 della Costituzione Italiana
            Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Provincie nell'ambito d'una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione.
            La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni.

            Il Testo fondamentale della Carta costituzionale, conformemente alla sua ispirazione non solo di riconoscimento ma soprattutto di promozione delle autonomie locali territoriali (art. 5 della Costituzione), impone che ogni ipotesi di modifica dei Territori si avvii dalla base, “su iniziativa dei Comuni”, come recita l’art. 133, comma 1 della Costituzione, e non dallo Stato.
            A quest’ultimo, pertanto, spetta unicamente un ruolo di garanzia, ossia verificare che l’eventuale revisione delle circoscrizioni provinciali esistenti o il loro accorpamento siano o meno conformi all’interesse generale.
            Stando, quindi, alla lettera della norma costituzionale, sarebbe precluso a priori un qualunque intervento statale volto a predeterminare le condizioni idonee a garantire la sopravvivenza dell’ente provinciale.
            Difatti, l'articolo 133 comma 1 della Costituzione, stabilisce in maniera perentoria che "la modifica delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province" necessita previamente di delibere comunali e regionali (di consiglio e non di giunta o di sedicenti CAL - Consigli delle Autonomie Locali!), per poi operarsi con legge dello Stato.
            L’accorpamento delle Province che si vorrebbe operare equivarrebbe, quindi, all'abolizione delle stesse!
            Trattandosi, quindi, di modifica, ricadrebbe, invece, nella disciplina dell'art. 133 della Costituzione italiana.
.           Il Decreto Legge n. 95/2012, quello, per intenderci sulla “spending review”, all’art. 17, reca un’articolata procedura che, sebbene voglia coinvolgere Regioni ed Enti locali nell’applicazione dei parametri indicati dall’Esecutivo, svia dal procedimento indicato all’art. 133, comma 1 della  Costituzione.
            Infatti, l’iter procedurale previsto dal provvedimento sulla spending review delinea un percorso il cui contenuto è già precostituito dal Governo e non è affatto rimesso alla libera ed autonoma iniziativa dei Comuni come, del resto, contempla l’art. 133, comma 1, della Costituzione.
            Il legislatore costituente non ha quindi previsto giammai una procedura per la soppressione di una singola provincia ma ha inteso l’istituzione di una nuova provincia e di modifica territoriale di una provincia esistente.
            Ciò impedisce al legislatore ordinario di sopprimere una provincia, anche solo con l'escamotage dell'accorpamento. L’unica strada che il Parlamento (e non il Governo) avrebbe per sopprimere una o più Province, o al limite  tutte e 110, è quella di una riforma costituzionale!
            Una legge costituzionale, comunque, richiede una “procedura rinforzata” che difficilmente vedrebbe la luce, ed in ogni caso, in assenza dei 2/3 dei voti in seconda lettura, sarebbe necessario un referendum confermativo.
            Inoltre, si fissano in modo del tutto arbitrario dal governo Monti due criteri alla cui stregua dovranno effettuarsi gli accorpamenti provinciali: la dimensione territoriale (2.500 Kmq)  e la popolazione residente (350.000 abitanti).
            Tali criteri devono essere coerenti con l’obiettivo che si intende perseguire, cioè la riduzione della spesa pubblica. Se questa è la ragione, perché mai la soppressione non è generalizzata? Perché si dovrebbero salvare solo le Province che soddisfano i criteri arbitrariamente prefissati?
            Il progetto governativo, in realtà, si rivela anche carente proprio sotto il profilo della coerenza della differenziazione legislativa e già le Istituzioni interessate (Province e Regioni) stanno ricorrendo ai Tribunali Amministrativi Regionali, al Consiglio di Stato e alla Corte Costituzionale.
     

           


           
Prof. Vincenzo PICCIALLI
Segretario Amministrativo del Comitato di Lotta “Barletta Provincia”
Dirigente del MIDA-BT


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