Un sito di straordinaria importanza, chiuso al pubblico per qualche indolenza comunale e poche migliaia di euro
Una quindicina di migliaia di euro e qualche passata indolenza comunale. Questi gli ostacoli che ancora impediscono ad un sito archeologico di straordinaria importanza, i cui reperti datati circa 3.500 anni fa il mondo invidia, di essere aperto al pubblico. Un polo di oltre dieci ipogei, quelli noti, ciascuno dei quali conta una media di 150 deposizioni con i relativi corredi. Ipogei scavati in corrispondenza di templi dedicati alla fertilità, sepolcreti per le élites dell’età del Bronzo. Stiamo parlando del parco archeologico di Trinitapoli, che si estende per circa 10mila metri quadri.
LE CAMPAGNE DI SCAVO - Nonostante il periodo di scarse risorse economiche, la soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia, guidata da Luigi La Rocca, permette che prosegua ininterrotta l’attività di scavo intrapresa nel 1987, con la direzione scientifica di Anna Maria Tunzi, responsabile ministeriale per la preistoria dauna, archeologa e testimone di questa sorta di ipertesto scavato nella roccia. «È un unicum — dice Tunzi — quanto a complessità strutturale e a ricchezza di corredo». Il sito racconta anche della fittissima rete di relazioni che l’antica gente del luogo già intratteneva con le comunità balcaniche frontaliere e quindi baltiche, con l’Oriente. Così come hanno svelato, tra tutti, l’ipogeo detto «della signora delle ambre», ornata con gioielli arricchiti dalla preziosa resina fossile, o «del gigante». Destinatari negli anni di finanziamenti regionali, statali ed europei per milioni di euro, il museo archeologico degli ipogei, nell’abitato di Trinitapoli, ed il Parco degli ipogei, con la sua struttura di accoglienza, sono ancora chiusi. Se ne attende da quasi un decennio l’apertura.
GLI INTOPPI - I motivi? La manciata di euro (rispetto a quanto fino ad ora finanziato) ed inezie, cui pare si stia finalmente ponendo rimedio con gli ultimi interventi comunali attinenti alla sicurezza di vetrine e contenitori dei reperti stessi. Negli anni si sono susseguiti svariati appelli, interventi e polemiche. Non è ancora possibile indicare la data d’inaugurazione, mentre si attende dall’amministrazione comunale la presentazione del necessario piano di gestione, conforme alla normativa museale, regionale e statale. Nel frattempo, la recinzione del Parco è stata divelta. Si è già reso necessario un ulteriore restauro per i reperti in metallo che erano già pronti per essere esposti nel museo, gli stessi che hanno accompagnato il millenario sonno di centinaia di dauni dell’età del Bronzo: ricomposti in posizione fetale dai loro congiunti subito dopo la morte, in questa singolare, unica sequenza al mondo di rappresentazioni sotterranee di uteri materni. Ritornare in un grembo per ricongiungersi alla vita. Il timore che finanziamenti destinati ai beni culturali (tra tutti, per esempio, i 113 milioni di euro «immediatamente cantierabili » ricevuti meno di un anno fa dalla Puglia grazie al Poin - attrattori culturali 2007/2013) non li rendano poi fruibili è più che fondato.
IL SOPRINTENDENTE - E partecipa alle preoccupazioni del sovrintendente La Rocca. «In generale — spiega — il timore riguarda tutti i beni archeologici che non siano statali. L’abbiamo condiviso più volte con la Regione e con gli enti locali. Perché si è dimostrata più volte la difficoltà da parte di questi ultimi di assicurare l’adeguata gestione dei siti, considerato che mancano risorse umane e finanziarie». Peraltro ci sono degli oneri importanti da sostenere, soprattutto relativi alla manutenzione. «Certo — concorda La Rocca — diventa difficile imputare questi costi a soggetti privati, per esempio ad associazioni. Riguardo il Parco di Trinitapoli è accaduto esattamente questo: alla luce dell’importanza mondiale di quest’area archeologica, sono stati stanziati dei fondi europei. È stato realizzato il Parco, dotato di percorsi di visita, pannelli, anche di ricostruzioni di tipologie abitative delle antiche popolazioni. È stato realizzato anche un centro visita. E naturalmente, come sempre fa la soprintendenza, è stata garantita l’assistenza scientifica per attività archeologiche, legate alla didattica e alla comunicazione ». Ma ora è delegata al Comune proprietario la gestione e la manutenzione dell’area. Cosa è accaduto? «Ci sono stati negli ultimi anni fenomeni di abbandono. Il punto della situazione oggi è che mentre la soprintendenza per i Beni archeologici e la direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici continua a garantire le attività scientifiche nonostante la scarsità dei mezzi, allo stesso tempo non abbiamo segnali confortanti per quanto attiene la futura gestione». Questo significa la mancata valorizzazione del Parco che è chiuso e non attrae flussi di turisti. «È così — ammette La Rocca — ma la polemica poi si è estesa alle problematiche che investono il museo. Anch’esso chiuso. E visto che è nostro compito anche esplorare le possibilità di finanziamenti, due potrebbero essere le strade da percorrere per dare una svolta: quella dei fondi regionali per i Beni culturali (ne parla la delibera di giunta regionale 1 ottobre 2013, n. 1808) che hanno destinato 130 milioni di euro al patrimonio pugliese e, di questi, 16 milioni al recupero e valorizzazione di aree e parchi archeologici, sulla base di progetti conformi alle normative, presentati dalle pubbliche amministrazioni. L’altra è rappresentata dal Pon Cultura 2014/2020».
Maria Paola Porcelli
Fonte : corriere
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