Qualcuno potrà storcere il naso o magari non comprendere a
fondo il perché come Collettivo Exit abbiamo deciso di aggregarci alla carovana
che dall’Italia è partita alla volta della Turchia per attraversare tutto la
regione del Kurdistan fino al confine con la Siria.
Siamo andati lì per una ragione ben precisa:sostenere il
processo di pace avviato dalla guerriglia kurda del PKK attraverso il suo leader
Ocalan con il governo turco per mettere fine ad oltre 40 anni di guerra e raggiungere la città di Kobane,nel Kurdistan
siriano, diventata negli ultimi mesi la città simbolo a livello mondiale della
resistenza contro la barbarie dell’ISIS.
Questo viaggio ha coinciso con i festeggiamenti del Newroz
che rappresenta per i curdi il capodanno e l’inizio della primavera e che,festeggiato
in ogni città con oltre due milioni di persone nella città di Diyarbakir,
quest’anno ha avuto una forte valenza simbolica per la possibilità molto
concreta di mettere fine ad un conflitto che ha causato enormi sofferenze.
Attraversando il Kurdistan abbiamo incontrato i
rappresentanti dei partiti curdi che ci hanno raccontato la loro lotta
decennale per l’affermazione dei loro diritti e come questi principi siano
sempre stati calpestati dal governo turco che non ha mai voluto riconoscere
questo popolo e ha cercato in tutti i modi di annientarlo attraverso una
repressione brutale fatta di carcere,tortura e uccisioni.
Oggi finalmente si aprono prospettive nuove che possono archiviare
per sempre il conflitto attraverso un processo iniziato proprio dal leader
curdo Ocalan che,dal carcere di Imrali in cui è detenuto dal 1999, ha esortato il suo popolo a voltare pagina per realizzare
non più l’indipendenza ma quel progetto di confederalismo democratico e di autogoverno
che ponga le basi per il superamento del concetto dello stato nazione che ha
prodotto nell’area solo settarismi e guerre.
Proprio il progetto di confederalismo democratico è da tre
anni sperimentato con successo nel Rojava siriano dove i curdi con la guerra
civile e la dissoluzione dello stato siriano hanno incominciato a dare impulso
ad un processo democratico attraverso la carta del Rojava,una sorta di
costituzione dove tutti i gruppi etnici hanno pari dignità,dove è centrale il
ruolo delle donne che sono rappresentate a tutti i livelli della società e dove
si mettono in pratica forme di mutualismo dal basso.
Purtroppo le nefaste conseguenze dei settarismi gli abbiamo
toccati con mano visitando i campi profughi che si trovano nel Kurdistan turco
dove migliaia di persone hanno trovato rifugio dopo l’avanzata del jiadisti
dell’ISIS in Iraq e Siria,assistiti e rifocillati dal popolo curdo che,
attraverso le sue municipalità, sta sostenendo uno sforzo incredibile, visto
che nè il governo turco nè le Nazioni Unite hanno mosso un dito.
Abbiamo ascoltato le storie del popolo Ezidi(,Yazidi in
arabo) fuggito da Shengal e da Mosul in Iraq nell’agosto scorso dopo che l’ISIS
ha incominciato a uccidere,stuprare e a rapire donne e bambini.
Ci hanno raccontato di 1.500 bambini caduti nelle mani del
califfato che gli addestra a diventare degli assassini,di donne vendute per 100
dollari al mercato seguendo un’antichissima tradizione araba,stimando in oltre
7000 le persone che sono scomparse e di cui non si sa più nulla.
Si sentono abbandonati dalla comunità internazionale e hanno
paura a tornare ai loro villaggi perché sanno che continuerebbe la persecuzione
nei loro confronti,per questo chiedono che siano aperti dei corridoi umanitari
per permettere loro di trovare una terra dove possano vivere in pace,con la
loro cultura,la loro religione e la loro identità.
Non solo gli Ezidi sono dovuti scappare per salvarsi dalla
furia dell’ISIS ma anche gli abitanti della città siriana di Kobane hanno
dovuto passare la frontiera con la
Turchia e rifugiarsi in campi allestiti dalla comunità curda
nei pressi della città turca di Suruc che ha dovuto ospitare oltre 120.000
persone raddoppiando la sua popolazione(la città ha una popolazione di 101.000
abitanti).
Oggi la città di Kobane dopo aver resistito al califfato
grazie alle combattenti curde del YPJ e ai combattenti del YPG è stata
finalmente liberata e pian piano i profughi stanno lasciando i campi per
ritornare nella loro città.
Ma rientrano con le tende perché la città è completamente
distrutta e manca tutto,come ci ha spiegato Asya Abdullah la presidente del PYD
che governa il Rojava(Kurdistan siriano).
Per questo volevamo attraversare la frontiera e raggiungere
la città di Kobane per renderci conto di persona del livello di distruzione e
di come far partire al più presto una campagna internazionale per la
ricostruzione visto che la comunità internazionale ha dimenticato l’unico
popolo che ha combattuto e sconfitto l’ISIS;ma l’esercito turco ci ha impedito
di oltrepassare la propria frontiera.
Come ci ha ricordato la Presidente Abdullah
i curdi a Kobane non hanno combattuto solo per la loro sopravvivenza ma per l’intera
umanità,perché difendere questa terra,la Mesopotamia ,significa difendere il luogo dove è
nata la civiltà e dove ci sono le nostre radici di cittadini europei.
Questo non dovremmo mai dimenticarlo come non dovremmo mai
dimenticare che il popolo curdo rappresenta una sorta di assicurazione per il
mondo risucchiato sempre più in una spirale di violenza e orrore.
Alessandro Zagaria-Collettivo
EXIT
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