Nella
polvere giacque una rovina immensa. Si preparava il fato sui binari
nudi a spezzar le nostre vite un dì di luglio. Inesorandi numi con
feroce sonnolenta ria sorte ventitre vite innocenti vennero strappate
ai loro cari. Una stolta virtù come se in quei campi una nebbia
fitta oscurava i cieli in un torrido giorno d’estate. Una legge
fraudolenta e mortale pose fine alla celeste nostra vita terrena. A
tragedia compiuta tanti si percuotono il petto e noi già da giorni
le nostre care spoglie giacciono sotto una terra leggera. Né giusti
né pii pur stringendo una fiamma della speranza accesa non possono
farci tornare a nuova vita con inaudita efferata sorte avversa siamo
diventati schiavi di morte, di oltraggi e danni causati da maligni
assetati di monete d’oro, di ingordi ambizioni e poteri occulti.
Noi plebei non possiamo consolarci, non troviamo riparo al nostro
dolore. Nuda è la speranza, soltanto un fato indegno ci ha portato a
vita eterna mentre i maligni sorridono dietro alle nostre nere ombre.
Con inaudita violenza siamo stati accolti nel buio tartaro. Neanche
Caronte si aspettava di accogliere tante anime bianche innocenti nel
suo Ade. Da turbare anche il suo animo trattando con tanta bontà e
amore le nostre ignote spoglie. A voi terreni non fate cadere
nell’oblio il nostro sacrificio che rimembra sempre ai posteri la
memoria di chi ci accoglie.
Un
mediocre poeta andriese.
Vincenzo
Santovito (quello della L.A.C.)
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