“Nero a metà” è stato il titolo del terzo album di Pino
Daniele, contenente delle splendide melodie. Parafrasando il titolo di
quell’album si potrebbe ugualmente definire la frettolosa inaugurazione dell’ex
macello comunale, destinato ad essere un non meglio precisato contenitore
culturale.
Un vecchio detto popolare racconta che quando un soggetto
non vuole rispondere in modo preciso ad un preciso quesito, alla domanda: “da
dove vieni?” risponde: “porto cipolle”.
Anche in questo caso la parafrasi non sarebbe troppo
fantasiosa e verrebbe fin troppo facile se ricordassimo che mentre la gente
attendeva l’inaugurazione di un teatro le si presenta quella del “contenitore”,
peraltro completamente vuoto, fisicamente vuoto. Se volessimo far ricorso alla
tradizione cinematografica il buon Troisi avrebbe detto semplicemente: “pensavo
fosse amore invece era un calesse”. Se è vero che le stelle sono tante, milioni
di milioni devono essere stati quelli a mancare per il completamento
dell’”operetta” (si parla di un teatrino di appena un centinaio di posti;
giusto per una rappresentazione condominiale). Vista la fretta con la quale si
è voluti inaugurare e (ri)chiudere il “contenitore”, poiché secondo lo statuto
comunale il suo affidamento deve avvenire mediante pubblica manifestazione
d’interesse con il requisito indispensabile dell’iscrizione all’Albo delle
Associazioni per i possibili “pretendenti”, pare proprio che la realizzazione
di quel teatro non sia nei programmi, almeno di quelli dei pretendenti alle
poltrone romane né dei vecchi nuovi pretendenti alla pregiata poltrona più alta
di Palazzo San Francesco.
Poiché questo scherzetto era nell’aria i cittadini di
Andria, che saranno pure creduloni e ripetitivi nel commettere sempre lo steso
errore quando, almeno il 60% di essi, svende il proprio voto al miglior
incantatore di serpenti, hanno pensato bene di firmare una petizione popolare
che avesse lo scopo di far si che un manufatto già adibito a teatro ricevesse
il titolo di “attrattore culturale di interesse popolare”. La petizione è
servita a questo e quei 13mila cittadini firmatari hanno sottoscritto non solo
una chiama manifestazione d’interesse verso un bene materiale ma un’altrettanto
chiarissima manifestazione di disinteresse e di sfiducia verso coloro che
amministrano la cosa pubblica i quali, evidentemente, ancora oggi un teatro
vero non sono riusciti a consegnarlo alla città di Andria che resta l’unica al
mondo a non esserne dotata.
Eppure i soldi per un teatro vero, da realizzarsi nella
città di Andria, c’erano ed erano ben tre milioni e mezzo di euro inseriti
nella programmazione del famigerato Pian Strategico di Area Vasta Vision 2020,
ai tempi in cui si sguazzava tra gli sprechi di denaro pubblico che alimentava
tutta una schiera di soggetti che ruotavano circondando completamente le
cosiddette Agenzie Territoriali, oggi in fase di definitiva dismissione anche
se “degnamente” sostituite da altri bancomat per il prelevamento e spreco di
denaro pubblico, a cominciare dai Gal. Quel Progetto, peraltro scopiazzato,
redatto su un modulo minimale con errori madornali tipo quello in cui si fa
addirittura riferimento al nuovo mercato ortofrutticolo (facente parte di altro
progetto ed inserito in altra scheda evidentemente non opportunamente
modificata), prevedeva la realizzazione di un teatro stabile con una capienza
di 450 – 500 posti oltre a tutti i servizi comuni e previsione di aree idonee
per il parcheggio riservato al teatro anche interrato. Praticamente lo stesso
che abbiamo ripetutamente visto in alcuni spot elettorali di alcuni anni fa
nelle televisioni locali e che vedremo ancora, sempre gli stessi senza neppure
spendere un solo euro se non per cambiare la faccia e il fisico del nuovo
candidato sindaco.
Peccato che quei fondi ad oggi non si siano ancora visti e
che il “giocattolo” Vision 2020, così accuratamente progettato da politici,
amici consulenti e para sindacalisti in cerca di futuro radioso e raggiante si
sia definitivamente rotto senza peraltro neppure aver esaurito la tirata di
corda che tutte le sanguisughe avevano così energicamente arrotolato a spirale.
Si parlava della sua realizzazione in quella che veniva definitiva “la città
dello spettacolo”, che avrebbe dovuto essere ad Andria, genericamente ed
ipoteticamente ubicata in “zona urbanizzata per dare prestigio e visibilità
all’opera”, scrivevano nella generica scheda. Una realizzazione dunque
solamente ipotetica con finalità elettorali che gli andriesi non vedranno mai
così come gli stessi andriesi, tornando a parlare del teatro nell’ex macello,
non sapranno mai se quel luogo resterà per sempre un contenitore e basta. Un
contenitore culturale? Anche il macello, quando rappresentava, con il mercato
generale ortofrutticolo di via Barletta oggi cadente a pezzi, un patrimonio non
solo per la città di Andria ma per l’intero meridione d’Italia, era un
contenitore culturale, con l’aggiunta non trascurabile che era anche un
contenitore sociale, economico, produttivo e di sviluppo occupazionale
dell’economia cittadina. Quarant’anni fa mi ricordo benissimo cosa accadeva in
quel luogo fantastico. Da quattordicenne in calzoncini corti già bazzicavo gli
ambienti istituzionali e conosco bene quali attività vi si svolgessero. Ricordo
benissimo l’allora veterinario dott. Pansini, un’autorità rispettata da tutti,
così come ricordo benissimo anche le attività manuali svolte in quel macello,
in via Canosa, dagli scortichini del mattatoio; ricordo l’arrivo e lo
stazionamento degli animali prima di essere portati nella sala di macellazione.
Non è forse cultura tutto questo? Cultura ed economia: proprio i due fattori
che in questa città più sono stati mortificati negli ultimi venticinque anni di
malgoverno e di inettitudine. I due fattori che, con l’attività edilizia e
l’agricoltura, rendevano ricca ed ambiziosa la città di Andria, invidiata in
mezza Italia. Tutto questo non c’è più (cantava Battisti in “acqua azzurra,
acqua chiara”!), irrimediabilmente perduto come perdute sono ormai le speranze
che Andria possa veder nascere un teatro vero; una Questura vera; un Palazzo
Ducale completamente fruibile; contenitori culturali e sociali veri; luoghi di
studio veri e di aggregazione, che non siano le parrocchie o qualcosina di poco
conto sparsa qua e la; istituzioni formative vere. In quanto al virtuale,
invece, preparatevi agli effetti speciali della prossima campagna elettorale.
Anche questa volta saranno stupefacenti. La sorpresa più grande? Quella che non
vi aspettereste mai. Dovete solo pazientare.
Ad ogni buon conto #iononsonocandidato
*Presidente
“Io Ci Sono!”
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