I movimenti per l’acqua si sentono “custodi” degli oltre 27 milioni di elettori ai referendum, e ritengono di esserlo anche per la giurisprudenza. In questi giorni piangono la scomparsa di Danielle Mitterand, “grande donna, attivista per l’acqua e per i diritti umani”, una signora “che apparteneva al mondo intero”. E’ anche nel suo nome che vogliono “far valere il mandato del popolo italiano, andando verso la ripubblicizzazione del servizio pubblico”.
“Si scrive acqua, si legge democrazia” è da sempre il motto di questo movimento. Ecco perché i comitati referendari, forti non solo del risultato di giugno ma anche di tutto quello che a quella vittoria ha portato (non ultimo aver raccolto un milione e 400mila firme per presentare i quesiti), solleveranno a giorni la questione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato presso la Corte Costituzionale. Il governo – spiegano – ha approvato infatti norme contrarie all’esito referendario. Norme, secondo la tesi dei giuristi del Forum – in “contrasto costituzionale” con il voto popolare, potere dello Stato tanto quanto l’esecutivo e del quale i Comitati referendari sono rappresentanti.
Ma cosa sta succedendo? Il punto è che dalle parti del potere centrale, ma anche da quelle della politica locale, il post-referendum è stato un proliferare di provvedimenti “lontani” da quanto espresso dagli italiani. Prima di tutto la manovra estiva, a nemmeno un mese dalla ratifica del Capo dello Stato del risultato del referendum – e quindi dall’abrogazione della norma (l’art.23bis del decreto Ronchi) che obbligava a mettere a gara la gestione dei servizi pubblici locali. Il l3 agosto, nell’articolo 4 della manovra, è stata approvata quella che i comitati chiamano una “fotocopia del decreto Ronchi”. Una norma che ricalcherebbe “fedelmente” l’art.23bis, reinserendo la liberalizzazione dei servizi pubblici locali abrogata dal primo quesito del referendum. Unica accortezza, la specifica: “tranne per il servizio idrico”. “Come se gli italiani avessero votato solo per l’acqua”, dice Marco Bersani di Attac Italia. “Tra l’altro sappiamo che l’intenzione è quella di inserire anche il servizio idrico”. E poi. Nella legge di stabilità si rinforza il concetto, stabilendo che i sindaci che non metteranno a gara i servizi pubblici locali entro il 31 marzo 2012 potranno essere commissariati o destituiti.
Sel è accusato di comportamenti “ambigui” di fronte all’esito referendario. E Vendola è un “sorvegliato speciale”. Perché quella dell’acqua come bene comune è stata a lungo una battaglia della quale il buon Nichi si è fatto carico in Puglia. E di fronte alla quale oggi risulta in “colpevole ritardo”: da ‘ormai troppo tempo’ il Comitato pugliese Acqua bene comune invita il governatore “a rendere finalmente Legge regionale” il Ddl che trasforma l’Acquedotto pugliese da S.p.A. in “azienda di diritto pubblico”. E da ‘ormai troppo tempo’ la risposta che Vendola avrebbe dato ai Comitati (ovvero che “l’iter è in capo al consiglio regionale e il presidente ha poteri limitati”, raccontano) al popolo dell’acqua, pugliese ma non solo, non basta più.
Fonte : Il Fatto quotidiano.it
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