Il sipario ancora non si è alzato e un urlo proviene dal palco. Ma è solo il primo di una serie che farà della messa in scena uno spettacolo a dir poco “forte”, colorito, sguaiato, interamente recitato in un dialetto barese stretto, a tratti indecifrabile.
Furie de sanghe, lo spettacolo di Fibre Parallele, andato in scena ieri nell’auditorium Paola Chicco è la rappresentazione di un quadretto familiare sopra le righe, stretto nella morsa dell’ignoranza, dell’aridità comunicativa che sfocia nella violenza e nella rabbia, nella veemenza delle parole che esplode proprio come una “emorragia cerebrale”, una “furie de sanghe” appunto.
Presentato al pubblico della XV^ edizione del Festival Internazionale di Andria “Castel dei Mondi”, diretto da Riccardo Carbutti e promosso dalla Città di Andria, con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, della Regione Puglia e del Teatro Pubblico Pugliese attraverso l’attivazione dei fondi FESR, il lavoro teatrale della compagnia barese è uno spaccato di quotidianità meschina, alienata dalla triste quotidianità priva di stimoli, che si svolge in un sotterraneo spoglio, riprodotto con pochi elementi di scena: una sedia sdraio, un telecomando, un secchio, una sedia e la vasca del capitone.
Lo spettacolo, scritto da Riccardo Spagnulo per la regia di Licia Lanera, si apre con tre i personaggi: il padre (Corrado La Grasta) che passa tutto il tempo di fronte alla tv, il figlio (Riccardo Spagnulo), nullafacente e dipendente dai gratta e vinci e la zia (Sara Bevilacqua) che trascorre le giornate a prendersi cura del capitone, “un figlio” dice lei. Solo a 10 minuti dall’inizio dello spettacolo si svela al pubblico il contenuto di un sacco della spazzatura presente sullo sfondo sin dall’inizio. Ne fuoriesce Felicetta (Licia Lanera) , prorompente fidanzata dello smidollato ragazzo, che irrompe sulla scena causando scompiglio, destando cattiveria e amplificazione della violenza quotidiana. Scatta per un nonnulla la “furie de sanghe”: quella del padre (“tatà” nel dialetto arcaico utilizzato dal figlio) quando non ha il telecomando per la tv o la furia della zia che perde il capitone, sua “amata creatura”, scatenando una pantomima tragicomica fatta di urla, pianti, spropositi e turpiloqui.
La furia è il filo conduttore di tutto lo spettacolo, veicolata principalmente attraverso lo stesso linguaggio arcaico e pungente, fatto di espressioni volgari e urlate, enfatizzate dal diffondersi sulla scena di suoni sempre più forti, a tratti assordanti.
La furia è il filo conduttore di tutto lo spettacolo, veicolata principalmente attraverso lo stesso linguaggio arcaico e pungente, fatto di espressioni volgari e urlate, enfatizzate dal diffondersi sulla scena di suoni sempre più forti, a tratti assordanti.
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