Dopo quasi tredici mesi, due perizie e un incidente probatorio, la procura di Trani ha chiuso le indagini sul crollo di via Roma a Barletta, costato la vita a cinque giovani donne. Della morte delle operaie Tina Ceci, Giovanna Sardaro, Matilde Doronzo, Antonella Zaza e della piccola Maria Cinquepalmi (13 anni appena), ora rispondono in 15, accusati a vario titolo di aver provocato il crollo dell’edificio compreso tra via Roma e via Mura Spirito Santo, in cui tutte si trovavano la mattina del 3 ottobre 2011. All’origine della tragedia, secondo il pubblico ministero Giuseppe Maralfa che ha fatto notificare l’avviso di conclusione delle indagini, ci sarebbero state «imprudenza, negligenza, imperizia e inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline». In 14 (persone fisiche) sono accusati di concorso in disastro colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose; mentre una società (la Giannini srl) risponde della responsabilità amministrativa nei reati contestati. La tragedia non avrebbe nulla a che fare, invece, con il lavoro nero: lo dimostra l’esclusione dall’elenco degli indagati di Salvo Cinquepalmi, padre della piccola Maria e proprietario del maglificio in cui lavoravano (non assunte) le quattro operaie. Fuori dal processo anche il vigile del fuoco, Emanuele Sterlicchio, che il 30 settembre venne chiamato dai residenti a effettuare controlli sul palazzo poi crollato e mai sgomberato.
Le condotte considerate determinanti nel crollo fanno capo, in primis, al proprietario del cantiere adiacente al palazzo, Cosimo Giannini, che avrebbe voluto far edificare un nuovo edificio dopo aver abbattuto completamente quello preesistente; ai fratelli Salvatore, Andrea e Giovanni Chiarulli che in quel cantiere stavano effettuando i lavori di demolizione; ad Antonio Sica, alter ego del proprietario; e anche ai tecnici Giovanni Paparella e Pier Fortunato Ceci, incaricati dalla Giannini srl della progettazione; nonché al geometra Vincenzo Zagaria, che avrebbe elaborato il piano di demolizione e quello della sicurezza e del coordinamento. In particolare, nel cantiere adiacente (secondo quanto comunicato al Comune il 21 settembre dall’architetto Paparella) si sarebbero dovuti effettuare solo lavori di «rimozione delle macerie presenti sul sito». E, invece, ci fu una vera e propria demolizione delle parti rimanenti del vecchio edificio, eseguita - come sostiene la procura di Trani - non «con mezzi manuali e di piccole dimensioni, bensì (per il notevole risparmio di tempo e di spesa che ne conseguiva) con mezzi meccanici di notevoli dimensioni, vale a dire con una macchina escavatrice dotata di benna». Inoltre, tecnici e proprietà ignorarono che «l’edificio di proprietà della Giannini srl da demolire era in realtà una struttura unica con i due fabbricati confinanti».
Insomma, un «unico aggregato edilizio» nel quale non si poteva abbattere porzioni di strutture in comune. E invece le ultime strutture rimaste vennero abbattute, provocando «il cinematismo» verso il basso della parete della palazzina. Indagati anche dirigenti e funzionari comunali: Francesco Gianferrigni e Valeria Valendino che non avrebbero esercitato poteri di vigilanza per evitare il crollo del palazzo; e l’ingegner Rosario Palmitessa, che aveva partecipato al sopralluogo del 30 settembre, per aver omesso di verificare l’esatta consistenza delle opere eseguite nel cantiere di Giannini. Coinvolti, poi, il vigile urbano Giovanni Andriolo e il geometra Roberto Mariano per rifiuto di atti di ufficio, insieme a Palmitessa, in quanto non intervennero la mattina del 3 ottobre prima del crollo. Un altro vigile urbano, Alessandro Mancini, infine, risponde del fatto di non aver accertato la regolarità dei lavori in corso nel cantiere, il 30 settembre. Le perizie della procura sono state due. Una tecnica sulle cause del crollo, effettuata da Margherita Aledda e Antonello Salvatori (già periti per il crollo della Casa dello studente de L’Aquila) e un’altra sui telefonini di quattro indagati (Giannini, Paparella, Zagaria e Ceci), per verificare se fossero stati presenti nell’area del cantiere Giannini nei giorni precedenti. La perizia, però, non sarebbe stata sufficiente a scagionarli in quanto i loro cellulari avrebbero agganciato una cella compatibile con quella della palazzina di via Roma. Ai fini del processo avranno valore di prova definitiva gli esiti (tecnici) dell’incidente probatorio tenutosi a luglio.
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