La questione Ita non è affatto
risolta. La vicenda nasconde responsabilità ed errori grossolani a cui Ventola,
in primis, deve porre rimedio. Entrambe le soluzioni prospettate nella riunione
tenutasi qualche giorno fa in Provincia, su convocazione del Presidente, sono
percorribili da parte di Ventola, per cui le persegua! Prosegua con il percorso
di statalizzazione dell'ITA oppure lo stesso istituto rimanga paritario. Il
caos creatosi attorno a questa vicenda ha come unici responsabili
l'amministrazione provinciale e il Presidente stesso.
La Giunta Provinciale consentendo
al Lotti la stessa offerta formativa e approvando il trasferimento allo stesso delle
prime due classi dell’Ita già da settembre, di fatto, vuole cancellare la
secolare scuola paritaria Umberto I e, cosa alquanto singolare, lo fa
sbagliando metodi e tempi.
Bene hanno fatto a marzo scorso,
i docenti del’Ita a denunciare il rischio di cancellazione dell’istituto. Si è
scoperto, allora, che il 30 giugno ’14 sarebbero cessate tutte le attività
dell’ITA, che la Fondazione Bonomo non aveva risorse per continuare l’attività
di gestione dell’Ita e che il percorso di trasferimento dall’Ita al Lotti era
un fatto incontrastabile, malgrado l’Ita avesse prodotto 80 nuove iscrizioni al
primo anno e contasse circa 400 iscritti.
La provincia, in modo
raffazzonato con l’Ufficio Scolastico Regionale ha attivato il percorso di
statalizzazione solo il 5 giugno. Percorso che, ricordiamo, prevede quale unico
interlocutore, il Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca.
Ventola non si è mai curato di valutare prima questa strada o strade
alternative. Se vi era veramente la volontà di avviare un percorso di
statizzazione, in primo luogo, non andava consentita l’attivazione
dell’indirizzo al Lotti per evitare una duplicazione di indirizzi (questo non
lo diciamo noi ma lo ha detto il dott. Luciano Chiappetta, Direttore Generale
del Ministro Istruzione Università e Ricerca).
Diciamo le cose come stanno:
Ventola confonde la vaporizzazione dell’Ita con la statalizzazione. l’Ita non
essendo un’attività strumentale alla provincia è di peso, e l’amministratore
provinciale se ne voleva liberare, per cui ha pensato bene si mettere in atto
un’attività di gemmazione con il Lotti il quale, non avendo l’autonomia dei 600
iscritti, sarebbe dovuto diventare comprensivo di qualcos’altro. Sulla carta lo
ha fatto diventare comprensivo dell’Ita in un’operazione informale che non può
farsi perché l’Ita non è una scuola statale. Ecco quindi le ragioni di un
percorso duplicato!
La questione che attiene al
processo di coesione con il Lotti non ha ragione di esistere. Il Presidente
Ventola deve tornare sui suoi passi.
Bisogna prima completare il processo di statalizzazione per ottenere una
scuola statale che si chiamerà Istituto Tecnico Agrario Umberto I. Se poi la
scuola non avrà raggiunto i 600 iscritti
(cosa poco probabile, visto l'incremento delle iscrizioni negli ultimi anni e
visto anche il trend nazionale che vede una crescita costante delle iscrizioni
a scuole di indirizzo agroalimentare),
solo allora, si potrà prevedere, su richiesta dell'Ufficio Scolastico
Regionale, una comprensione con un altro istituto.
Un capitolo a parte merita la
questione dell’immobile ove ora è l’Ita che, in origine era di proprietà del
Comune di Andria. Il cav. Beltrani
consigliere provinciale a Bari, nel 1866, in un’operazione concertata con il
Comune di Andria sostenne la donazione di una parte del convento per realizzare
una scuola elementare, un convitto agrario e un istituto Agrario.
Successivamente, è rimasto in piedi solo questo residuo dell’istituto tecnico
Agrario paritario che abbiamo avuto in dote dalla provincia di Bari. Cosa succederebbe
se l'IITA fosse accorpato al Lotti con tutta la struttura in cui è allocato?
In materia di localizzazione
patrimoniale delle inerenze, se e quando cancelleranno le province potrebbe
succedere che gli istituti entreranno nelle proprietà mobiliari delle dotazioni
dei vari Comuni. Cosa succederebbe se un pezzo del convento venisse
sfortunatamente consegnato ad una storia immobiliare differente? Infine, l’Ita
è nato in ragione di una donazione modale, andando a cambiare la naturale
destinazione per cui il bene è stato donato, la stessa donazione decadrebbe e
l’immobile rimarrebbe alla proprietà del Comune di Andria. L’altro pezzo
dell’immobile che inerisce il territorio entra già nella proprietà del comune
di Andria che può così ricostruire l’unicità del convento benedettino.
Il comune di Andria ha, quindi,
tutto l’interesse a far sì che l’Ita rimanga tal quale. Altrimenti deve
impegnarsi a rientrare nel pieno possesso dell'immobile.
Ci saremmo aspettati uno scatto
di reni da parte dell’amministrazione comunale e dei rappresentanti andriesi
alla Provincia poco attenti a seguire il destino dell’intero patrimonio
immobiliare.
Sulla questione, il gruppo
politico del PD ha già preparato un ordine del giorno condiviso con le altre
forze di opposizione, da approvare in consiglio comunale per impegnare
l'amministrazione a mettere in campo ogni azione possibile per tutelare l'Ita e
il suo patrimonio immobiliare. Non possiamo permetterci, nemmeno lontanamente,
di consegnare al Ministero la proprietà degli immobili. Se e quando il percorso
di statizzazione dell’Ita sarà compiuto, il convento benedettino dovrà
ritornare ad essere un’unica struttura: gioiello per il Comune di Andria che ha
il dovere di difendere a spada tratta.
La segretaria
Maria Carbone
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