La comica politica italiana, lo sceneggiato che mira a dire qualsiasi cosa per non dire in assoluto niente. Confondere un fatto in qualunque cosa per farlo diventare nessuna cosa. E allora via con maratone per occupare il tempo in cui la maggior parte delle figure presenti hanno un obiettivo comune: fare giustizia. Il problema della comicità della politica italiana è che essa è stata quasi sempre di regime e quando la satira diventa strumento del dominatore è meschinità e violenza insieme, gode nel vedere l’altro sottomesso e lo sbeffeggia.
La giustizia che si vuole fare qual è? Quella fatta con gli stessi strumenti manipolati per non esserci giustizia? E se la giustizia decide cosa avrebbe dovuto fare la politica allora quest’ultima che senso ha?
Gli sceneggiati da telenovela sudamericane hanno sempre l’obiettivo di colpire il sentimento per offuscare la ragione. Mettiamo giù la maschera degli attori televisivi e social e anche a chi è stato capace di appiccicarci un “prima gli italiani” quando invece sono sempre gli italiani di prima a fare da carnefici. Ma quando si riesce a far diventare la tragedia un piagnisteo tutto diventa lecito. Anche invitare genealogie di governatori di questo paese al muro del pianto e noi animali da televisione ad unirci a loro nel canto funebre.
Il nuovo che deve dichiararsi tale per poter esserlo sa già di vecchio e noi non possiamo stare ancora a guardare mentre si fanno beffe di noi. Non possiamo non protestare contro chi ha operato in silenzio il crollo di questo paese e invita noi al silenzio. Dal sud al nord ci sono vite, comunità, pezzi di economia che crollano, ci sono le nostre vite rese da eterni terremotati dalle loro negligenze politiche e dai loro palesi interessi privati a cui nessun organo giudiziario potrà fare giustizia che sia una giustizia piena, socialmente vissuta.
Ogni qualvolta li vediamo in televisione recitare dolore dobbiamo ricordarci che i ponti non crollano se investimenti, manutenzioni e sviluppi infrastrutturali sono fatti rientrare tra i propri obiettivi politici e si creano sistemi di garanzia pubblica dei servizi fondamentali, tipo renderne statale il controllo e pubblico l’accesso all’amministrazione. I canali delle fogne a Barletta non si rompono se vengono messi in una strategia di rinnovo di queste infrastrutture. La vita di chi sta a sud migliora se si attrezza il territorio delle dovute infrastrutture dove invece ci sono ancora zone che non hanno neanche collegamenti col bus. I palazzi delle periferie non vanno a pezzi se invece che l’interesse del privato a metterli in piedi si scontra la ragione della comunità a costruirli per soddisfare il bisogno di una casa. E i lavoratori delle campagne vivrebbero meglio se si finanziassero ispettori del lavoro da mandare nei campi e si imponesse, a chi moltiplica i profitti tramite lo sfruttamento ad oltranza, condizioni di legge a tutela di chi lavora. La politica che vuole solo mettere i conti in regola è burocrazia e la burocrazia ammazza le persone più di qualsiasi altra arma poiché essa non pensa ma sopravvive nell’abitudine del suo sistema, siamo circondati da Eichmann inconsapevoli. Ed è anche il momento di smetterla di dire che non ci sono i soldi: con lo scandalo Panama papers sappiamo dove finisce il lavoro del ceto salariato e lo sappiamo anche analizzando i bilanci delle aziende che prima fanno profitti e quando a loro piace decidono di far le valige, chiarendo oltretutto la natura del capitale.
Siamo solidali con chi oggi soffre perché nella sofferenza si trova la necessità del mondo nuovo. Ma non staremo in silenzio nella miseria della politica italiana e faremo polemica, creeremo attriti per manifestare il disagio, la frustrazione verso uno stato di cose deplorevole e stagnante.
La tecnica senza la condivisione con la comunità diventa strumento di potere e di controllo e ancora una volta sappiamo che contro ingegneri, architetti e scienziati di ogni tipo c’era gente comune e comitati che sapevano che questo sarebbe prima o poi capitato. Una scienza che non sia un’impresa sociale non esiste nella realtà eppure la politica con il caso di Genova ha ampiamente dimostrato che non ascoltare le voci di chi la scienza la vive ogni giorno sulla propria pelle mistifica le conseguenze e le trasforma in tragedie.
La politica è l’arte di porre delle differenze tra le prospettive per la costruzione del futuro. Ed è questa a scegliere l’ingegnere che deve fare manutenzione, l’amministratore delegato delle autostrade, il medico che deve fare divulgazione sui vaccini, i soldi da spendere su qualcosa piuttosto che su un’altra.
È falso dire che gli incidenti come quello a Genova non possono essere anticipati e a chi dice questa idiozia si dovrebbe chiedere: perché fai politica?
Luigi Filannino per Potere al Popolo di Barletta
Nella foto “I bari” di Caravaggio
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