Negli
ultimi giorni si sono succedute ancora una volta informazioni
contradditorie e speculazioni ideologiche di modo da imporci di fare
chiarezza sulla vicenda. La discarica non può essere definitivamente
e formalmente chiusa, nè per provvedimento del Sindaco o del
Consiglio Comunale, né per decisione della Regione, né con
referendum popolare o con la raccolta di firme, ma unicamente
all’esito di una precisa procedura e solo dopo
che l'ente territoriale competente al rilascio dell'autorizzazione
abbia eseguito un'ispezione finale sul sito, abbia valutato tutte le
relazioni presentate dal gestore e comunicato a quest'ultimo
l'approvazione della chiusura. Vi
è un preciso complesso e lungo iter imposto dalla legge italiana e
dalla normativa europea di riferimento, onde evitare una
chiusura “ in fretta e furia” e che non tenga conto delle
esigenze successive di manutenzione, della sorveglianza e del
controllo nella fase di gestione post-operativa, per tutto il tempo
durante il quale la discarica può comportare rischi per l'ambiente
dalla legge previsti in trenta anni ma possibilmente
persistenti per un periodo ancora più lungo. Tale obbligo di
legge coincide con l’approccio scientifico di Legambiente e con la
necessità che si compiano tutti gli adempimenti di legge essenziali
alla chiusura ed al post esercizio della discarica, ed in tal senso
coerentemente ai principi di precauzione e prevenzione la metodologia
di calcolo da applicare per lo studio dei rischi legati alla
chiusura della discarica deve essere quella di tipo
probabilistico prevedendosi valori casuali e parametri in input
incerti che possano verificarsi in futuro ed in funzione delle loro
distribuzioni di probabilità e per ognuno di essi deve calcolarsi un
valore di rischio che dovrà poi tracciare il percorso precauzionale
per gli anni a venire evitando l’improvvisa esplosione della bomba
ecologica che una discarica dismessa rappresenta. Il modello
di calcolo di tipo deterministico adottato da alcuni autoproclamatisi
esperti o demagoghi nell’ancorarsi di volta in volta ai parametri
negativi accertati su sito della discarica rischia di non considerare
tutte le future varianti e di provocare una chiusura formale della
discarica con l’adozione di misure di bonifica contingenti che in
realtà lascerebbero un “vulcano attivo” covare ancora sotto le
ceneri della dismessa discarica.
E’
essenziale che il futuro della dismessa discarica sia affidato alla
Città di Trani ed alla consapevolezza dei suoi cittadini
coerentemente alle norme precauzionali imposte dalla legge che con
rigido criterio governa la chiusura di una discarica. Urgono una
pianificazione ed uno studio adeguato che tengano conto di ogni
esigenza e problematica attuale come futura: dalla chiusura del
“pozzo spia” PV6 possibile veicolo di inquinamento in falda, al
risanamento delle pareti di contenimento, alla razionale
captazione di pergolato e biogas alla necessità logica e
normativa di colmare il bacino ove insistono i lotti della discarica.
Infatti nella consapevolezza che i tre attuali lotti della discarica
costituiscano un unico insieme che a sua volta si riconduce al
fantomatico lotto 2bis, Legambiente Trani si chiede come possa
evitarsi che il percolato si muova tra i tre lotti e raggiunga il
quarto lotto 2 bis e soprattutto come si intenda colmare il bacino
della ex cava posto che legge e logica scientifica impongono che la
discarica cessata la sua funzione quindi avviata alla chiusura
raggiunga il piano campagna per essere ricoperta da terreno vegetale
e piantumata opportunamente con specie vegetali in grado di abbattere
ulteriormente i fenomeni inquinanti. Devono essere poste al bando
tutte le forme di verità assoluta ed intransigenza ideologica e
ricercate soluzioni tecniche adeguate e permanenti in sinergia con il
comparto territoriale, ipotizzandosi magari conferimenti di inerti,
da parte delle industrie di lavorazione del marmo o impianti di
compostaggio o altre soluzioni ragionevoli che soprattutto evitino
che interventi urgenti e straordinari esauriscano i fondi di
post esercizio lasciando il territorio solo ad affrontare le
incertezze di un futuro regalatoci dalla presenza di cave reimpiegate
come discariche.
I rifiuti
sono tra i problemi economici e ambientali della attuale
società industriale, una realtà parallela rispetto a quella
delle merci. Ci si compiace della produttività, non si rinuncia al
consumo e nel contempo si lanciano invettive per i danni ambientali
causati dai rifiuti il quali rappresentano una presenza
pervasiva negli stili di vita contemporanei. Solo affrontando il
problema dei rifiuti alla radice senza fare affidamento sul mero
smaltimento sarà possibile in futuro ipotizzare un vivere diverso ed
un'organizzazione sociale basata su un maggior rispetto di se, degli
altri e dell'ambiente. Un gruppo di volontari ambientalisti non può
da solo provocare una inversione culturale in una città come Trani.
Tuttavia e tenendo fede ad un impegno già assunto con la Commissaria
Straordinaria Legambiente Trani si sta adoperando nelle scuole, con i
migranti, con i detenuti e con l’ausilio dei volontari dei
cantieri sociali per promuovere concretamente interventi ed
esperienze di raccolta differenziata. E’ essenziale che AMIU ed
Istituzioni procedano con slancio e reale orientamento e che
tutti coloro che vogliono, non solo per proclami, che a Trani si
segni una inversione di rotta nella gestione dei rifiuti si adoperino
concretamente operando ed informando la cittadinanza la quale non
cambierà atteggiamento solo per una delibera del consiglio comunale
o per una raccolta di firme. Non vi è alcuna provocazione in tali
parole ma la consapevolezza di chi da oltre trenta anni si confronta
con il “torpore” dei cittadini tranesi per i quali
sarà essenziale un adeguato percorso preparatorio alla raccolta
differenziata porta a porta ed in tal senso si invoca il contributo
di tutti coloro che dichiarano di avere a cuore le sorti del nostro
territorio. Analogo invito alla unità e nel contempo ad un
approccio scientifico viene formulato per affrontare la problematica
della chiusura della discarica comunale evitando il rischio che
“l’emergenza chiusura” generi un disastro maggiore di quello
causato dalla “emergenza apertura”.
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